Capracotta è un paese situato a 1421 m sul livello del mare ed è il più alto comune dell’Italia appenninica.
Poiché sono sicura che anche l’eventuale lettore di questo libro avrà, come tanti altri, la curiosità di sapere l’origine del nome, dirò che la leggenda popolare narra che alcuni zingari, avendo deciso di fondare una cittadina, per compiere un rito in uso presso di loro, bruciarono una capra, che riuscì a fuggire dal rogo e si rifugiò sui monti, ove stremata di forze, esalò l’ultimo respiro.
Gli zingari costruirono dove essa si era fermata la chiesa parrocchiale intorno a cui sorse il paese. Dicono anche che il nome derivi latino “castra cocta”, ossia accampamento protetto da un “agger coctus”, il quale era un muro di cinta fatto di mattoni. Non è da escludere, infatti, che un distaccamento romano stesse di stanza in quelle alture per utilizzare le possibilità strategiche della località che domina la vallata del Sangro.
Non mancano tesi che fanno risalire il significato dello stemma comunale, raffigurante una capra che fugge da una pira, alla prova del fuoco in uso presso i Longobardi, che avrebbero fondato la cittadina.
C’è anche chi pensa che in quel posto vi fosse una trattoria ove si servisse della carne di capra, ma sembra più convincente lo studio fatto da Ugo Mosca, quel mio parente che si è occupato dei Mosca, il quale ha depositato nella Biblioteca provinciale di Campobasso due dattiloscritti sui toponimi molisani e sull’origine del nome di Roma.